2013
Omesso versamento di contributi previdenziali – Comunicazione della contestazione di avvenuto accertamento della violazione tramite raccomandata non ritirata (compiuta giacenza) – Incidenza sull’elemento soggettivo di reato – Assoluzione perché il fatto non costituisce reato.
Avv. Matteo Mami / 0 Comments /Tribunale di Piacenza, Sezione Penale, sentenza 29.10.2012 n. 1122
Il caso in oggetto vedeva la citazione a giudizio di un soggetto per rispondere del reato di omesso versamento di contributi previdenziali all’INPS, nei termini di legge, delle somme trattenute sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti.
La contestazione dell’avvenuto accertamento della violazione veniva effettuata dall’INPS, presso la residenza anagrafica del soggetto titolare di impresa individuale, mediante raccomandata A/R che, tuttavia, non veniva ritirata dal destinatario e, pertanto, ritornava al mittente successivamente al periodo di compiuta giacenza.
Il reato contestato è previsto e punito dall’art. 2 comma 1-bis del Decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (convertito in l. 11 novembre 1983, n. 638).
La seconda parte di detta norma prevede un’ipotesi di non punibilità per il datore di lavoro inadempiente che provvede al versamento entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione.
Il comma 1-ter, difatti, prevede che la denuncia di reato sia presentata o trasmessa senza ritardo da parte dell’INPS all’Autorità Giudiziaria, una volta decorso inutilmente il termine previsto dal comma 1-bis.
Il Tribunale di Piacenza pronunciava, nei confronti dell’imputato, sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, sulla scorta del fatto che la comunicazione di cui sopra, rappresenta un elemento processuale che incide sull’elemento soggettivo del reato, in quanto solamente una conoscenza della contestazione specifica delle violazioni, con l’indicazione della possibilità di pagare e non essere punito, permette, non solo di procedere, ma anche di consapevolmente scegliere una strada difensiva che escluda la punibilità del reato.
La conoscenza del presupposto della contestazione entra perciò a far parte del patrimonio rappresentativo dell’elemento soggettivo del reato, incidente anche sulla componente volitiva dello stesso.
Il Tribunale di Piacenza, inoltre, precisava che, nel caso di specie, il dubbio circa l’effettiva conoscenza non possa essere superato e sopperito mediante il ricorso alle notifiche degli atti processuali propri del processo penale, in quanto, secondo il principio fatto proprio dalla recente giurisprudenza di legittimità (Cassazione, Sezione Unite, 18.01.2012 n. 1855), la notifica del decreto di citazione a giudizio, ovvero dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, possono essere considerati equipollenti alla notifica dell’avviso di accertamento della violazione, soltanto quando contengano tutti gli elementi essenziali di detto avviso, compresa l’indicazione della possibilità di fruire della causa di non punibilità prevista dalla legge. Infatti, gli atti processuali del giudizio de quo non contenevano tali avvisi ed erano stati notificati all’imputato, previa emissione del decreto di irreperibilità, ex art. 159 c.p.p.
Per quanto sopra, il ragionevole dubbio circa la conoscenza effettiva della contestazione, con conseguente incompleta realizzazione della fattispecie incriminatrice per difetto dell’elemento soggettivo richiesto per l’integrazione del reato contestato, comportava l’assoluzione dell’imputato dal reato ascritto, perché il fatto non costituisce reato, ex art. 530 comma II c.p.p.
Il predetto orientamento, sicuramente innovativo e garantista del diritto di difesa risulterebbe, tuttavia, in contrasto con il consolidato orientamento secondo cui la violazione di cui all’art. 2, comma I bis, della L. n. 638/1983 ha natura di reato omissivo istantaneo, in quanto si realizza nel momento in cui scade il termine per provvedere al versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali (cfr giurisprudenza assolutamente consolidata sul punto: sez. 1, 3 marzo 1989 n. 505; sez. III, 28.1.1991 n. 5315; sez. III, 25.6.2003 n. 29275; sez. III, 1.2.2005 n. 10469; da ultimo, Sezione III Penale, 19 luglio 2011 n. 30566).
Tale orientamento è sicuramente in linea con la disposizione normativa prevista dal comma 1-quater dell’art. 2 D.L. 463/1983 secondo cui: “Durante il termine di cui al comma 1- bis il corso della prescrizione rimane sospeso“.
Difatti, se il corso della prescrizione rimane sospeso durante il periodo concesso al datore di lavoro per poter adempiere e così avvalersi della causa di non punibilità prevista ex lege, significa che la prescrizione era già in corso, e dunque il reato già perfezionatosi.
Un diverso orientamento, fatto proprio dal Tribunale di Pescara con sentenza del 06.07.2010, ritiene che l’omessa notifica dell’avviso di accertamento ed il mancato decorso del termine determinino l’improcedibilità dell’azione penale stante “la diversa e infungibile funzione degli atti, il decreto di citazione a giudizio finalizzato all’esercizio dell’azione penale e la comunicazione di cui all’art. 2 comma 1 bis D.L. 463/83 invece finalizzata a porre il trasgressore nella condizione di ottemperare alla violazione contestatagli in via amministrativa e così di evitare l’apertura del procedimento penale per detta violazione a suo carico“.
Di contro, il Giudice di legittimità ha più volte sancito che la tempestiva contestazione o notificazione delle violazioni non rappresenta una condizione di procedibilità dell’azione penale e che, qualora il termine di tre mesi, previsto dalla seconda parte del comma 1-bis dell’art. 2 D.L. 463/1983, non sia decorso al momento della celebrazione del dibattimento, l’imputato possa chiedere al giudice un differimento dello stesso al fine di provvedere all’adempimento (sez. III, 28.9.2004 n. 41277, P.M. in proc. De Berardis, RV 230316; sez. III, 25.9.2007 n. 38501, Falzoni, RV 237950; sez. III, 16.5.2007 n. 27258, Venditti, RV 237229; sez. III, 12.12.2007 n. 4723 del 2008, Passante, RV 238795).
Pertanto, a parere di chi scrive, alla luce della giurisprudenza di legittimità di cui sopra e delle disposizioni normative vigenti in materia, si deve ritenere che, l’omessa comunicazione o l’assenza di prova di avvenuta ricezione della contestazione delle violazioni contenente l’avvertimento della possibilità di avvalersi della causa di non punibilità, non incidano sulla sussistenza del reato (in quanto già perfezionatosi in precedenza), bensì possano consentire all’imputato di provvedere al pagamento nel termine di tre mesi dalla ricezione dell’atto processuale (avviso conclusione indagini o decreto di citazione a giudizio) che contenga tutti gli elementi essenziali dell’avviso di accertamento delle violazioni. A contrario, nel caso in cui gli atti processuali ricevuti dall’imputato non contengano detti elementi, lo stesso possa provvedere, in ogni stato e grado del procedimento, al pagamento di quanto dovuto al fine di avvalersi della causa di non punibilità prevista ex lege.
Tale ampia possibilità alla luce del principio sancito dalla recente sentenza della Cassazione a Sezione Unite n. 1855/2012, in merito all’equipollenza o meno degli atti processuali all’avviso di accertamento della violazione, in quanto, in caso contrario, si produrrebbe un’evidente disparità di trattamento ed una manifesta irragionevolezza del sistema, con una palese violazione del diritto di difesa, tra coloro che siano stati avvisati della possibilità di avvalersi della causa di non punibilità, e coloro, invece, che non ne abbiano avuto conoscenza.
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