2013
Giudizio abbreviato: nel caso in cui non venga illegittimamente ammesso, il Giudice dibattimentale deve concedere la riduzione di pena prevista per tale rito
Avv. Matteo Mami / 0 Commenti /Corte Suprema di Cassazione, Sezione Sesta Penale, sentenza 15.03.2013 n. 1445
Nel caso in oggetto, la Corte di Appello di Roma riformava in parte la sentenza di primo grado, ritenendo come all’imputato dovesse essere concessa la diminuente di un terzo per il giudizio abbreviato, in quanto la richiesta di ammissione a tale rito era stata ingiustificatamente disattesa dal giudice di prime cure, e confermava il giudizio di responsabilità penale in capo all’imputato sulla scorta delle evidenze probatorie emerse nel corso del giudizio dibattimentale di primo grado.
Avverso la predetta sentenza presentava ricorso per Cassazione l’imputato, il quale deduceva la violazione di legge processuale, per avere la Corte distrettuale riconosciuto all’imputato il diritto ad ottenere l’instaurazione del giudizio abbreviato, e, ciò nonostante, lo stesso veniva giudicato sulla base delle dichiarazioni rese dai testi escussi nel corso del giudizio ordinario dibattimentale, invero, inutilizzabili, in quanto rese in presenza di un’ammissibile istanza dell’imputato ad essere giudicato “allo stato degli atti”.
La Corte rigettava il ricorso affermando il seguente principio di diritto:
“l’adozione di un erroneo provvedimento di inammissibilità della richiesta di rito abbreviato inficia la legalità del procedimento di quantificazione della pena inflitta qualora si sia pervenuti ad una sentenza di condanna: con la conseguenza che il riconoscimento dell’errore al momento della chiusura del dibattimento di primo grado o nel giudizio di impugnazione, impone al giudice di riconoscere all’imputato la riduzione di un terzo della pena da irrogare, ferma restando, però, la utilizzabilità delle prove assunte, nel rispetto del principio del contraddittorio, nel corso del già svoltosi giudizio ordinario“.
La Corte, richiamando la pronuncia a Sezioni Unite del 27/10/2004 n. 44711, ha modo di precisare che l’ordinamento non tutela l’interesse dell’imputato ad ottenere una sorta di “regresso” del processo, affinché lo stesso si svolga ex novo nelle forme camerali del rito speciale, in quanto il giudice non può non tener conto delle prove acquisite nel rispetto del contraddittorio delle parti.
Tale interpretazione è, inoltre, coerente con una visione sistemica del codice di rito, ove all’art. 448 comma 1, prevede un’analoga ipotesi nella quale, sia al giudice dibattimentale di primo grado che a quello dell’impugnazione, è riconosciuto il potere di sindacare la precedente decisione, concretizzatasi nell’ingiustificato diniego del consenso da parte del pubblico ministero o nell’ingiustificato rigetto da parte del giudice, che abbia impedito l’instaurazione del rito speciale dell’applicazione della pena su richiesta delle parti. Anche in tal caso, difatti, con la sentenza di primo grado o nel giudizio di impugnazione, il Giudice che abbia riconosciuto la fondatezza della doglianza difensiva in ordine all’ammissibilità del rito o alla congruità della pena, utilizza il materiale probatorio acquisito nel corso del giudizio ordinario ed emette una sentenza che nella sostanza ha il contenuto di quella del patteggiamento, con il riconoscimento degli effetti premiali del rito, ma che nella forma risulta parificabile ad una sentenza pronunciata sulla base di un accertamento pieno. Tale ultima ipotesi naturalmente non ricorrerà nel caso in cui il giudice di primo grado pronunci immediatamente sentenza, prima dell’apertura del dibattimento, a seguito della rinnovazione della richiesta di patteggiamento da parte della difesa, nel caso in cui detta richiesta sia stata rigettata da parte del giudice delle indagini preliminari.
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